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Turing e il calcolatore che diagnostica il cancro

Alan Turing Aged 16

Alan Turing all’età di 16 anni.

Alan Turing fu un genio ed un eroe.

Mise fine alla sua vita a soli 42 anni, vittima della società omofoba del tempo, il 7 giugno 1954. Il suo principale contributo, pubblicato nel 1937 con il titolo On Computable numbers, rappresenta ancora oggi uno dei fondamenti teorici del calcolo elettronico.

Turing non era solo un matematico di prim’ordine, era anche un eroe: il giorno successivo alla dichiarazione di guerra alla Germania fu chiamato alla Scuola Governativa di Codici e Cifre britannica a Bletchley Park, e si distinse ideando le cosiddette “bombe”, i dispositivi elettromeccanici che fecero breccia nel cifrario tedesco Enigma.

Ma quello che colpisce di più era la sua capacità visionaria. In un lavoro del 1950 scriveva: “Io credo che fra una cinquantina d’anni sarà possibile programmare calcolatori aventi una capacità di memoria di circa 10^9, in modo da farli giocare così bene al gioco dell’imitazione che un interrogante medio avrà una probabilità non superiore al 70% di compiere l’identificazione giusta dopo 5 minuti di interrogatorio. Credo che la domanda iniziale “Le macchine possono pensare?” sia troppo priva di senso per meritare una discussione. Ciò nonostante, credo che alla fine l’uso delle parole e l’opinione corrente saranno talmente mutati che si potrà parlare di macchine pensanti senza aspettarsi di essere contraddetti.”

Se oggi Alan Turing fosse vivo cosa penserebbe del programma per calcolatore che riesce a diagnosticare il cancro con una precisione maggiore di quanto riescano a fare i medici?

Penso ci guarderebbe con quei suoi occhi tristi e forse sorriderebbe e noi ricambieremmo annuendo silenziosi e commossi.

Grazie dott. Turing, grazie anche a nome di ogni malato che potrà trarre giovamento da ciò che nel chiuso del suo studio lei immaginò agli albori della nuova era.

PG.

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mHealth e paesi sottosviluppati

Istat

Istat

Di recente mi è capitato di ascoltare un relatore che dissertava di eHealth e di mHealth.

Il termine mHealth è l’abbreviazione di mobile Health e indica la pratica medica o l’informazione sanitaria supportata dai dispositivi mobili. Applicazioni pratiche riconducibili al mobile Health sono ad esempio la raccolta di informazioni sanitarie di tipo personale o collettivo – ad esempio riferibili ad una intera comunità o a persone affette da una medesima patologia -, la gestione di servizi informativi, il monitoraggio di segnali vitali, il teleconsulto o la telediagnosi, la telegestione di dispositivi sanitari indossabili, ecc…

Il relatore illustrava, con dovizia di particolari ed esempi, che il mobile Health è particolarmente efficace e promettente nei paesi in via di sviluppo dove ancora il computer non è onnipresente come nei paesi sviluppati.

Mentre ascoltavo mi veniva da pensare che in realtà anche in un paese come il nostro non si può ancora dire che il computer sia poi così diffuso. Infatti, se andiamo a vedere i dati ufficiali – ad esempio quelli che l’ISTAT aggiorna ogni anno in una ricerca chiamata “Cittadini e nuove tecnologie” – scopriamo che nel 2013 in Italia la quota di famiglie che dispone di un accesso ad Internet da casa e che possiede un personal computer è rispettivamente del 60,7% e del 62,8%. Quindi, di converso, esiste quasi un 40% di famiglie che un personal computer o un collegamento a internet domestico non ce l’ha.

Più nel dettaglio, le famiglie con almeno un minorenne sono le più tecnologiche: l’87,8% possiede un personal computer e l’85,7% ha accesso ad Internet da casa. Mentre all’estremo opposto si collocano le famiglie di soli anziani – di 65 anni e più -: appena il 14,8% di esse possiede il personal computer e soltanto il 12,7% dispone di una connessione per navigare in Internet. Questo banalmente significa che ben l’85% degli anziani non ha un computer connesso in internet in casa.

Se consideriamo la professione del capofamiglia delle famiglie che hanno un computer collegato a internet, notiamo che quelle in cui è presente un dirigente, un imprenditore o un libero professionista sono il 19% di più di quelle in cui il capofamiglia è un operaio. Ancora più elevato è il divario – del 23% – se si va a vedere chi possiede uno smartphone connesso ad internet.

In base a questi dati, viene da chiedersi se anche in Italia non vi sia bisogno di qualche progetto di mHealth o addirittura che, per certi strati di popolazione – come gli anziani – vi sia ancora necessità di approcci decisamente più tradizionali dell’eHealth.

PG.

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Ebola: nuove epidemie e vecchi malcostumi

The Health Care Blog - http://thehealthcareblog.com

The Health Care Blog

Riporto i fatti, così come essi sono descritti nell’articolo “Hospital blames bad EHR design for missed Ebola case” che è possibile reperire sull’autorevole “The Health Care Blog“:

il Texas Health Presbyterian Hospital di Dallas ha puntato il dito contro il proprio sistema informatico dichiarando che la mal progettata interfaccia utente del sistema avrebbe reso semplice per i membri del team di cura non considerare il viaggio in Africa di un paziente risultato poi affetto da Ebola. Il paziente – sempre secondo quanto riportato nell’articolo citato – sarebbe stato mandato a casa dopo una visita avvenuta il 24 di settembre, nonostante avesse riferito di un recente viaggio in Africa e presentasse sintomi riferibili ad Ebola come febbre alta, mal di stomaco e mal di testa. Le autorità sanitarie affermano che più di 100 persone sarebbero state potenzialmente esposte a Ebola nei due giorni precedenti al ritorno del paziente in ospedale avvenuto il 26 di settembre.

Sempre nell’articolo citato si riporta uno stralcio di comunicazione ufficiale del Presbyterian Hospital che afferma che il problema sarebbe da ricondurre al fatto che le funzioni destinate al personale infermieristico e quelle destinate al personale medico sono distinte e le informazioni sui viaggi sono, fra le funzionalità infermieristiche, essenzialmente pensate per gestire le vaccinazioni antinfluenzali.

L’autore dell’articolo si chiede se effettivamente debba essere messa sotto accusa la tecnologia e per tutta risposta allega un commento che anche io riporto:

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Concordo con Ashish K. Jha che questa è una ben debole difesa quando si sbaglia.

Ciononostante il problema rimane.

Non ci possiamo nascondere dietro un dito: i nostri sistemi informativi sanitari sono pensati per gestire dati che assai raramente assurgono al ruolo di informazioni – cioè elementi di conoscenza per chi li legge -.

E ciò è dovuto essenzialmente ad una carenza di semantica:

  • il viaggio in Africa del paziente di cui è stata sottostimata l’infezione di Ebola al Presbyterian Hospital non era considerato – o considerabile – dal sistema informativo come un “VIAGGIO in AFRICA”, ma era un dato funzionale alla applicazione di un protocollo vaccinale contro l’influenza;
  • non poteva quindi entrare nella anamnesi del medico perché non era per quello pensato.

Che la difesa dei sanitari del Presbyterian Hospital sia debole, quando tentano di spiegare che essi hanno ben operato e che tutto è successo perché vi era semplicemente un problema sugli applicativi, è opinione di molti… che, tuttavia, si debba fare un enorme sforzo di miglioramento della qualità degli strumenti che vengono messi a disposizione del personale sanitario, appare altrettanto evidente ad altri.

L’usabilità e la semantica del dato sanitario saranno la vera frontiera dei prossimi anni.

PG.

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Questa volta possiamo arrivare prima del servizio sanitario nazionale inglese

National Health Service Logo

Logo del National Health Service del Regno Unito

In un articolo recente si annuncia che il servizio sanitario inglese – NHS National Health Service – ha intenzione, a breve, di mettere in grado i pazienti di consultare i propri dati sanitari attraverso lo smartphone.

Credo che, se volessimo, potremmo bruciare i colleghi dell’NHS sul tempo. A mio parere, non ci vorrebbe molto  a preparare una app che consentisse lo stesso risultato. In fondo la parte più difficile l’abbiamo già in gran parte fatta: la costruzione del fascicolo sanitario elettronico. Per chi ha già un fascicolo sanitario elettronico attivo, la prova è semplice, basta andare in internet con il proprio smartphone e accedere. Certo, le maschere sono piccole e non è ottimizzate per gli schermi minuscoli dei telefoni. Certo non è la stessa usabilità che si avrebbe con una app… comunque non siamo molto lontani.

A chi ancora non ha attivato il proprio fascicolo sanitario elettronico, consiglio di farlo: gli assistiti dell’Emilia Romagna troveranno tutte le informazioni necessarie sul sito https://www.fascicolo-sanitario.it. Gli assistiti di altre regioni potranno trovare i riferimenti al proprio fascicolo – per quelle regioni che già l’abbiano attivato – con una semplice ricerca in internet.

Quindi, senza peccare di eccessivo ottimismo, credo che con un piccolo sforzo aggiuntivo sia possibile bruciare sul filo di lana i pur bravissimi colleghi inglesi.

PG.

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Che cosa vogliono i pazienti dalle app sanitarie?

WhatDoPatientsWantsFromApps

What Do Patients and Carers want from Health Apps?

Una delle ricerche più interessanti che mi sia capitato di leggere di recente si pone l’obiettivo di indagare che cosa gli utilizzatori di app sanitarie si aspettino maggiormente da esse.

La ricerca condotta da PatientView, MyHealthApp e Health2.0 ha evidenziato che il 58% di coloro che hanno risposto dichiara di essere affetto da una patologia, o di prendersi cura di qualcuno affetto da patologia, da 10 o più anni. Il 74,3% di essi ha 41 o più anni.

Dalle risposte fornite risulta poi chiaro che la maggior parte dei partecipanti all’indagine, pur essendo interessata alle campagne informative sui temi della salute che hanno luogo in internet – 47% – non è costituita da addetti ai lavori – ben 38% dichiara di non essere coinvolta nel blogging sanitario o nella pubblicazione di informazioni sanitarie -. E questo dà certamente valore alla ricerca, in quanto meglio esprime il comune sentire del tipico utilizzatore di app sanitarie.

Un aspetto interessante che emerge è che l’uso di APP al confronto della navigazione di internet è ancora minoritario: il 91% dei rispondenti dichiara infatti di fruire di servizi sanitari attraverso il browser e solo il 22% dichiara di utilizzare app per il medesimo scopo.

Si indaga poi su quali siano gli utilizzi più significativi delle app sanitarie: il 44% dichiara di utilizzarle per trovare informazioni sanitarie, il 33% per un supporto a stili di vita più sani, il 31% le utilizza per connettersi con persone nella stessa condizione, nel 28% dei casi la APP aiuta, invece, gli utilizzatori a far fronte alla loro condizione di salute. Per il 23% dei rispondenti la APP  aiuta a mettersi in rete con i propri familiari e persone di supporto. Solo con percentuali staccate compaiono poi la necessità di comunicare con il proprio medico e infermieri,  l’esigenza di fare commenti sui servizi sanitari ricevuti e vivere la porpria situazione in maniera indipendente.

A mio modo di vedere risulta anche significativo il dato che gli utilizzatori desiderano che le app li aiutino a capire meglio le proprie condizioni mediche e le alternative di trattamento – 61% – e che forniscano un aiuto pratico , ad esempio nella pianificazione delle attività – 55% -.

La ricerca indaga poi quali siano i fattori che maggiormente impediscono lo scarico di una app: per il 37 l’ostacolo maggiore è costituito dall’alto numero di alternative esistenti, troppe app apparentemente simili portano alla confusione il potenziale utilizzatore.

A proposito invece dei fattori che possono favorire un uso regolare delle app sanitarie troviamo: il fatto che esse forniscano informazioni affidabili e accurate – 69% –, che esse siano facili da utilizzare e siano ben disegnate – 66% -, che forniscano garanzie che il dato gestito sia sicuro – 62% -, che siano gratuite e senza pubbllicità – rispettivamente 56% e 51% -.

Le cose si fanno più sfumate quando si chiede di scegliere il servizio che si ritiene più importante fra i principali fornibili da una app: il 23% risponde che ciò che ci si attende maggiormente è che essa fornisca informazioni comprensibili sui sintomi e sulle condizioni mediche. Il 17%, invece, ritiene che vorrebbe essere aiutato a comunicare con il medico e l’infermiere.

La ricerca conclude quindi che coloro che usano app sanitarie sono alla ricerca di informazioni affidabili che li aiutino a capire meglio i loro sintomi e la loro condizione e vorrebbero comunicare meglio attraverso le app con i professionisti della salute – medici e infermieri -, ma al contempo sono frenati e confusi dalla ricchezza dell’offerta.

Mi sembra che i risultati della ricerca siano assai significativi e condivisibili e rendano ragione delle esigenze che sempre più di frequente riscontriamo: come la richiesta di un maggiore accesso alle risorse professionali – medici e infermieri – attraverso applicazioni informatiche ben progettate e smart – app preferibilmente – al fine di superare alcune limitazioni intrinseche delle applicazioni WEB che in qualche caso abbiamo cominciato ad offrire.

La strada mi sembra tracciata.

PG.

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Codice dell’amministrazione digitale e dintorni, parte 3 – la continuità operativa

Agenzia per l'Italia Digitale

Agenzia per l’Italia Digitale

La continuità operativa di un organizzazione è oggi un aspetto talmente importante da essere oggetto di specifiche norme.

L’art. 50bis, comma 1 recita: “In relazione ai nuovi scenari di rischio, alla crescente complessità dell’attività istituzionale caratterizzata da un intenso utilizzo della tecnologia dell’informazione, le pubbliche amministrazioni predispongono i piani di emergenza in grado di assicurare la continuità delle operazioni indispensabili per il servizio e il ritorno alla normale operatività.”

Nella pagina dedicata alla continuità operativa AGID afferma che “La sfera di interesse della continuità operativa va oltre il solo ambito informatico, interessando l’intera funzionalità di un’organizzazione, ed è pertanto assimilabile all’espressione “business continuity”. La continuità operativa può quindi essere intesa come “l’insieme di attività volte a ripristinare lo stato del sistema informatico o parte di esso, compresi gli aspetti fisici e organizzativi e le persone necessarie per il suo funzionamento, con l’obiettivo di riportarlo alle condizioni antecedenti a un evento disastroso”.

Le pubbliche amministrazioni – in base al comma 3 dell’art. 50bis del CAD – debbono predisporre:

a) il piano di continuità operativa, che fissa gli obiettivi e i principi da perseguire, descrive le procedure per la gestione della continuità operativa, anche affidate a soggetti esterni. Il piano tiene conto delle potenziali criticità relative a risorse umane, strutturali, tecnologiche e contiene idonee misure preventive. Le amministrazioni pubbliche verificano la funzionalità del piano di continuità operativa con cadenza biennale;

b) il piano di disaster recovery, che costituisce parte integrante di quello di continuità operativa di cui alla lettera a) e stabilisce le misure tecniche e organizzative per garantire il funzionamento dei centri di elaborazione dati e delle procedure informatiche rilevanti in siti alternativi a quelli di produzione. DigitPA, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, definisce le linee guida per le soluzioni tecniche idonee a garantire la salvaguardia dei dati e delle applicazioni informatiche, verifica annualmente il costante aggiornamento dei piani di disaster recovery delle amministrazioni interessate e ne informa annualmente il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione.

Al comma 4 del medesimo articolo si precisa che i piani di cui al comma 3 sono adottati da ciascuna amministrazione sulla base di appositi e dettagliati studi di fattibilità tecnica e che su tali studi è obbligatoriamente acquisito il parere di DigitPA .

Al fine di governare la progettazione dei piani di disaster recovery e di uniformare gli approcci che gli enti possono adottare, AGID ha emesso delle “LINEE GUIDA PER IL DISASTER RECOVERY DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Nel documento si suggerisce di valutare la criticità dei servizi resi in base ad indicatori quali:

  • la complessità del servizio valutata in base alla tipologia, numerosità e criticità delle prestazioni erogate, in termini di danno per l’organizzazione e/o per i suoi utenti in caso di mancata erogazione del servizio stesso;
  • la complessità dell’organizzazione dell’azienda;
  • la complessità tecnologica necessaria ad erogare le prestazioni.

In una tipica azienda sanitaria, utilizzando i criteri suggeriti, per quei servizi la cui mancata erogazione potrebbe causare danni al paziente – cioè per i servizi più critici – si potrebbe ottenere la seguente valutazione:

Servizio 8
Organizzazione 8
Tecnologia 4
Indice complessivo di criticità 7
Valutazione complessiva
Classe di criticità risultante Alta
Soluzione tecnologica minima Tier 4

Ma che cosa è il “Tier” che identifica la tipologia di soluzione tecnologica da adottare?

Dice la linea guida “Uno degli obiettivi che si prefigge il Codice dell’Amministrazione Digitale è quello di giungere ad un’omogeneizzazione delle soluzioni di continuità operativa e Disaster Recovery. A tal fine si è proceduto ad individuare delle soluzioni, indicate convenzionalmente come Tier 1, Tier 2, …, Tier 6…”

Sempre secondo la linea guida il “Tier 1: è la soluzione minimale coerente con quanto previsto dall’articolo 50-bis. Prevede il backup dei dati presso un altro sito tramite trasporto di supporto (nastro o altro dispositivo). I dati sono conservati presso il sito remoto. In tale sito deve essere prevista la disponibilità, in caso di emergenza, sia dello storage disco dove riversare i dati conservati, sia di un sistema elaborativo in grado di permettere il ripristino delle funzionalità IT.”

Il “Tier 2: la soluzione è simile a quella del Tier 1, con la differenza che le risorse elaborative possono essere disponibili in tempi sensibilmente più brevi, viene garantito anche l’allineamento delle performance rispetto ai sistemi primari ed esiste la possibilità di prorogare, per un tempo limitato, la disponibilità delle risorse elaborative oltre il massimo periodo di base.” Ecc…

Si arriva fino al Tier 6 che “prevede che nel sito di DR le risorse elaborative, oltre ad essere sempre attive, siano funzionalmente “speculari” a quelle del sito primario, rendendo così possibile ripristinare l’operatività dell’IT in tempi molto ristretti.”

Indipendentemente dal Tier da applicare, occorre stendere “dettagliati studi di fattibilità tecnica”, così come previsto dal comma 4 dell’art. 50bis. Al fine di facilitare questa attività AGID ha emesso una circolare, la n.58 del 01/12/2012,  e ha definito un modello generale per la redazione di uno studio di fattibilità tecnica.

Nonostante la corposa documentazione e gli ausili messi a disposizione non sono molte le aziende sanitarie che hanno redatto piani di CO o di DR.

Sarebbe interessante capire quali siano le motivazioni per le quali ciò non sia stato fatto e se ciò derivi principalmente da arretratezza culturale, da scarsità di risorse per l’attuazione dei piani o altro.

Quale che sia la ragione, rimane la preoccupazione per il mancato adempimento che rischia di mettere a rischio la sicurezza dei pazienti che ogni giorno vengono accolti nelle strutture sanitarie.

PG

Il testo vigente del CAD è reperibile sul sito di AGID.

Sono disponibili anche gli articoli CAD e dintorni, parte 1  e CAD e dintorni, parte 2.

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Banche dati anagrafiche sotto esame

Carta di Identità

Carta Identità

Ogni sistema informatico sanitario, per articolato o minimale che sia, possiede almeno un modulo fondamentale: il modulo di gestione anagrafica.

A seconda del contesto esso può assumere diversi nomi:

  • anagrafe degli assistibili in una azienda sanitaria territoriale – dove l’accento è posto sulla gestione degli assistiti/assistibili che ricadono all’interno della competenza territoriale dell’azienda -;
  • anagrafe dei contatti in una azienda ospedaliera – dove l’accento è posto sui pazienti per i quali l’azienda abbia erogato almeno una prestazione -;
  • elenco dei pazienti appartenenti ad un certo percorso di medicina d’iniziativa – dove l’accento è posto sui pazienti che hanno le caratteristiche per essere arruolati in un certo percorso assistenziale o di cura e che in esso verranno gestiti -.

Pur caratterizzati da innegabili differenze, i contesti sopra richiamati condividono la gestione del dato anagrafico e costituiscono la ineludibile premessa di ogni possibile gestione sanitaria. Stante ciò, parrebbe ovvio presumere che, da tempo, tutti i problemi concettuali e tecnici relativi alla gestione anagrafica siano stati risolti.

Spesso così non è.

È facile verificare che in molte aziende non è assicurata una corretta e completa gestione delle banche dati anagrafiche – inserimento, aggiornamento, merge, unmerge, cancellazione logica, ecc… – e ancora più raramente si è in grado di garantire una gestione armonizzata di tutte le banche dati tale da scongiurare la presenza di immagini anagrafiche disallineate o altri tipi di incongruenze. Ancora più rare sono le aziende che possono affermare di possedere un sistema anagrafico in grado di gestire la storicizzazione dei dati.

Spesso la mera presenza di un log delle modifiche – addirittura gestito, in qualche caso, fuori linea – viene spacciato per una storicizzazione degli aggiornamenti.

Viene qui presentato un modello di interoperabilità anagrafica HCIF – HealthCare Interoperability Framework – che, pur nella sua essenzialità, delinea un insieme di requisiti minimi che ogni anagrafe sanitaria dovrebbe possedere.

Si auspica quindi che esso possa essere utilizzato come benchmark e metro di valutazione delle anagrafi sanitarie che potranno, auspicabilmente, possedere molti requisiti aggiuntivi, ma che assai difficilmente potranno non possedere le caratteristiche minime individuate.

Ci si dovrà quindi chiedere, nella valutazione degli strumenti presenti in azienda o che si intenda acquisire:

  • gestisce l’inserimento di una posizione anagrafica ?
  • gestisce la cancellazione – logica o fisica – di una posizione anagrafica ?
  • gestisce il ripristino di una posizione anagrafica cancellata logicamente ?
  • gestisce l’aggiornamento – con storicizzazione e senza storicizzazione – di una posizione anagrafica ?
  • gestisce l’unificazione – merge – di due posizioni anagrafiche ?
  • gestisce la suddivisione – unmerge – di due posizioni anagrafiche precedentemente unificate ?
  • gestisce la ricerca una posizione anagrafica – corrente – o di una qualsiasi immagine storica di questa ?
  • permette di specificare una chiave locale su di una immagine anagrafica esistente in maniera tale che si possa recuperare una immagine anagrafica esistente per mezzo della chiave localmente gestita ?
  • permette di cancellare una chiave locale su di una immagine anagrafica esistente ?
  • permette di gestire le notifiche di eventi relativi ad immagini anagrafiche selezionate – eventi che riguardano immagini anagrafiche di interesse locale – ?
  • gestisce una interfaccia basata su messaggistica HL7 ?
  • possiede una interfaccia sincrona basata su WEB services ?
  • ecc…

Forse non è tutto ciò che serve, ma in molti casi è molto di più di quanto viene garantito.

PG.

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Google X e l’Alchimista

Google.com

Google.com

Vi sono momenti in cui alcune delle nostre certezze vengono meno, momenti in cui ciò che ci sta intorno si fa più misterioso e allusivo, talvolta ciò conduce a grandi rivoluzioni o a inaspettate fioriture.

Pensiamo alla scoperta dei satelliti medicei da parte di Galileo che demolisce l’ormai vetusto impianto astronomico aristotelico o al faticoso percorso che partendo dall’alchimia arriva alla nascita della chimica moderna. Nella scienza non è un dramma che i figli uccidano i padri: potremmo infatti ricordare che i lavori di Antoine Lavoisier sulla conservazione della massa nei processi chimici demolivano la teoria del flogisto, sancendo in questo modo la fine delle fantasiose e inconsistenti teorie alchemiche. Ma Edipo non potrebbe esistere senza il padre Laio. La protoscienza non è meno importante della scienza che da essa trae origine, non fosse altro perché ne fonda lo slancio che la innalza oltre se stessa.

Pensavo queste cose leggendo dell’ultimo progetto di cui ci è giunta notizia da Google X.

Il colosso di Mountain View sta studiando delle nanoparticelle che ingerite sotto forma di pastiglie, potranno entrare nel flusso sanguigno e fissarsi sulle cellule maligne, per marcarle ed identificarle con una precisione inimmaginabile. Le particelle potranno essere individuate, in maniera non invasiva, da un sensore indossato dal paziente.

“WOW,” penso, “meglio delle nanotecnologie dei supereroi dei COMICS”.

Domani sicuramente un famoso esperto ci spiegherà che la strada è ancora lunga, o che questa nuova tecnologia non è poi così promettente, o di così generale applicazione, o così economica, o così innovativa.

Quando questo succederà io penserò quello che penso sempre in questi casi: “Sì, è vero, ma lasciateci sognare. Solo così potremo porre le fondamenta di quello che sarà. Lasciate sognare l’alchimista nell’antro di Google. Lasciate che accarezzi la Pietra della conoscenza e ci indichi una possibile via. Abbiamo bisogno dei sogni, che ancora non sono scienza per andare oltre i limiti del poco che ancora sappiamo.”

PG.

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Il FSE sarà una APP?

Icona della APP salute

Icona della APP Salute di Apple.com

Quando ho scaricato l’ultima versione del sistema operativo iOS su iPhone mi sono ritrovato installata anche una intrigante app contraddistinta da un cuoricino rosso su campo bianco.

Cerco un po’ ed ecco spiegato l’arcano: nella sezione Health del sito della Apple trovo che il colosso di Cupertino si è lanciato nel mondo della salute e del fitness e quella dovrebbe esserne la porta di accesso.

Attiro l’attenzione di mia moglie e le indico l’icona sullo schermo del telefono. Mi chiede se è il fascicolo sanitario elettronico – FSE – di cui spesso le parlo. Sto per dirle che non è proprio così… poi ci penso su.

Ricordo molto bene quando Microsoft entrò nel settore con HealthVault, così come ricordo quando Google ci provò con il progetto Health e dopo qualche tempo chiuse i battenti per mancanza di adesioni. Non è una strada nuova, ci hanno già provato altri a percorrerla. Qualche anno fa, quando provai il servizio di Microsoft e quello di Google, non mi entusiasmarono. Allora tutto ciò che era disponibile era una interfaccia WEB, non esisteva una app che funzionasse sul telefonino che ho sempre fra le mani, non c’erano ancora tutti quei gadget in grado di raccogliere dati ed inviarli, o erano troppo costosi, o difficili da trovare.  Era una vita fa dal punto di vista della usabilità, ora molte cose sono cambiate.

Mi viene la voglia di riprovare. Mi butto ad inserire dati. Magari mi compro anche un contapassi bluetooth. Mi chiedo se Apple metterà a disposizione anche un servizio per interoperare con la banca dati?

Mia moglie, che mi vede trafficare, mi chiede che cosa stia facendo.  Con buona pace dei sacrosanti e paludati progetti FSE che si sta tentando di mandare avanti a livello nazionale, con buona pace dei dubbi su dove finiranno memorizzati i miei dati, rispondo che sto usando la mia cartella sanitaria on line.

PG.

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Pertinenza e Non Eccedenza, un possibile modello

La gestione della pertinenza e non eccedenza dei trattamenti – secondo quanto disposto dal codice privacy – nei sistemi informativi sanitari è un tema complesso e ancora oggetto di interpretazioni divergenti.

Quello che qui si propone è un modello per garantire il rispetto dei principi di pertinenza e non eccedenza che tende, da un lato, a tutelare i diritti del paziente pur senza costringerlo ad ogni piè sospinto a dichiarare le proprie intenzioni, dall’altro, attraverso il concetto di “percorso di cura” si intende gestire una politica di accesso al dato che sia coerente con la sensibilità dei professionisti e con le reali necessità di cura.

Il modello, ben lungi dall’essere definitivo, vuole essere un punto di partenza per una discussione che miri a definire opzioni realmente implementabili ed usabili.

PG.